La raccolta di opere d’arte della Fondazione CR Firenze è costituita da dipinti di autori vari che coprono un periodo che va dal Trecento al Novecento: dai maestri antichi, come Giotto e Mariotto di Nardo, agli artisti rinascimentali, come Filippino Lippi e Giorgio Vasari, dai pittori macchiaioli e naturalisti, come Giovanni Fattori e Odoardo Borrani, ai protagonisti del Novecento, come Giovanni Colacicchi e Primo Conti, senza tralasciare la serie di vedute di Firenze eseguite tra il XVII e il XIX secolo.
RINALDO DA SIENA
(Siena attivo 1260-1281 circa)
Madonna col Bambino, seconda metà del XIII secolo
tempera su tavola
L’opera è attribuita a Rinaldo da Siena, pittore duecentesco che appartiene alla cerchia di artisti che vissero l’urto della rivoluzione di Cimabue e della sua visione più umanizzata delle figure, sulle orme del rinnovamento portato nella Chiesa dal carisma di san Francesco. Il volto della Madonna appare carnoso e il velo è morbido nelle pieghe che scendono sulle spalle. Il Bambino, seppur rappresentato ancora come un piccolo saggio, abbraccia la madre con un gesto naturale e rilassato.
PACINO DI BONAGUIDA
(Firenze attivo 1303-1330 circa)
San Tommaso Becket; San Bartolomeo; San Giovanni Battista; San Zanobi
1315-1320
tempera trasportata su tela applicata su tavola
Pochissime sono le opere e le notizie relative a Pacino di Bonaguida.
L’opera assume dunque un alto valore nella ricostruzione del profilo dell’artista attivo a Firenze nella prima metà del XIV secolo. Le quattro tavole con santi dovevano far parte di un polittico più ampio del quale non è ancora stata ritrovata la parte centrale.
Lo studioso Miklós Boskovitz ha identificato le quattro tavole nella pala d’altare della cappella Minerbetti che si trovava nel tramezzo della chiesa di Santa Maria Novella. Fondamentale per l’attribuzione è stata la rara presenza del santo Thomas Becket poiché la famiglia Minerbetti vantava discendenze dal martire inglese.
GIOTTO DI BONDONE
(Colle di Vespignano 1266 ca. – Firenze 1337)
San Francesco; San Giovanni Battista
1320 circa
tempera su tavola
Le due piccole “fette biscottate”, come le ha definite lo studioso Luciano Bellosi per via del loro formato, sono state coralmente attribuite a un Giotto maturo. I due santi dovevano far parte della predella di una pala d’altare. Il tratto distintivo del pennello del maestro si mostra nella capacità unica di far abitare lo spazio alle figure. I due santi mostrano i propri attributi al fedele, ma la mano di Francesco con le stimmate e il dito indice di Giovanni che presenta il cartiglio con la scritta “Agnus Dei” sono seminascosti, come se continuassero dietro l’apertura del piccolo oblò. Stanno per mostrarsi, come affacciandosi a una finestra, in una magistrale illusione che crea uno spazio nuovo, oltre il nostro sguardo.
MAESTRO TOSCANO
(XIV secolo)
Cristo benedicente, San Pietro
seconda metà del XIV secolo
tempera su tavola
Sebbene sia dubbia l’identità del pittore, certa è la sua appartenenza al clima culturale toscano della seconda metà del XIV secolo, all’ombra del rinnovamento artistico iniziato da Giotto. Il Cristo Benedicente riprende infatti nella composizione un noto polittico di Giotto esposto oggi al North Carolaina Museum.
La presenza della tavola minore con san Pietro fa pensare che l’opera prevedesse almeno un’altra tavola con la figura di san Paolo o addirittura fosse parte di un polittico più complesso con altre figure di santi attorno al pannello centrale con Cristo.
JACOPO DEL CASENTINO
(Firenze 1297-1358)
Annunciazione, Crocifissione; Stigmate di san Francesco e due santi, prima metà del XIV secolo, tempera su tavola
Le due ante sono state acquistate a un’asta di Christie’s a Londra il 12 dicembre del 1986. Facevano parte di un trittichetto richiudibile di cui è andata perduta la pala centrale. Miklós Boskovitz, noto studioso di arte medievale, le ha attribuite a Jacopo del Casentino, artista attivo nella seconda metà del XIV secolo legato alle forme giottesche. La composizione è chiara, ordinata ed equilibrata, ma il richiamo al mondo trecentesco, nei panneggi e nei volti, svela il gusto del Tardogotico nelle siluette affusolate. Le due tavole attestano la diffusione delle opere destinate alla devozione privata custodite nelle nobili case trecentesche.
BARNABA DA MODENA
(documentato dal 1361-1383)
Madonna che allatta e Noli me tangere, seconda metà del XIV secolo
tempera su tavola
La tavoletta è una preziosa testimonianza del periodo giovanile di Barnaba da Modena, pittore emiliano del XIV secolo. L’opera, di piccole dimensioni, doveva essere parte di un trittico o dittico di destinazione privata.
Nella scena del Noli me tangere Gesù ferma l’abbraccio della Maddalena, che piena di gioia nell’averlo riconosciuto risorto, protende le braccia per stringersi a lui.
La composizione è animata, oltre che dal moto della donna, dal drappo svolazzante di Cristo che riempie lo spazio e dona potenza al movimento. In alto è una classica immagine della “Madonna del Latte”.
GHERARDO STARNINA
(Firenze 1354 – ante 1413)
San Giovanni Evangelista
seconda metà del XIV secolo
tempera su tavola
Nella piccola tavoletta, parte forse di una più grande pala d’altare, si sprigiona tutto il colore e la forza tipica delle opere dell’arista fiorentino Gherardo Starnina.
La snella figura di san Giovanni Evangelista è avvolta da un pesante drappo. Il tessuto scende sul corpo del santo in pieghe e volute creando un movimento sinuoso e complesso.
Il colore tenue del rosa del mantello cangia fino al rosso della manica in un turbinio di colori decisi.
Sono le caratteristiche maggiori del Gotico Internazionale, del quale Starnina fu uno dei più grandi interpreti.
BICCI DI LORENZO
(Firenze 1373 – 1452)
Incoronazione della Vergine tra angeli e santi
1419 circa
tempera su tavola
Bicci di Lorenzo proveniva da una delle più note botteghe d’arte a conduzione familiare del tempo. Come suo padre Lorenzo, prima di lui, e il figlio, Neri, dopo, Bicci fu uno degli interpreti maggiori della pittura Tardogotica nella Firenze di inizi Quattrocento.
L’opera presenta una magnifica incoronazione della Vergine circondata da un fitto consesso di santi e angeli. L’eleganza di Bicci, che si perde nel dettaglio fino ai singoli fili del drappo innalzato dietro la sacra incoronazione, testimonia un gusto che a Firenze, per tutto il Quattrocento, conviveva con le novità Rinascimentali.
Giovanni di Marco detto GIOVANNI DAL PONTE
(Firenze 1385 – 1437)
Madonna col Bambino in trono tra angeli e i santi Antonio Abate e Paolo, 1420 circa
tempera su tavola
La pala, probabilmente destinata alla devozione domestica, appartiene all’ultimo periodo di attività dell’artista. Gesù bambino accarezza un cardellino, simbolo della futura Passione. Anche il corallo vermiglio che porta intorno al collo rimanda al futuro di sangue e Resurrezione. Strenue difensore del Gotico Internazionale, Giovanni dal Ponte è lontano dalle novità artistiche introdotte dalla prospettiva brunelleschiana, lavorando per una committenza legata al gusto del secolo precedente. Inoltre mostra qui alcuni tratti del colorismo luminoso di Gherardo Starnina, specialmente nelle pieghe nette definite della veste del bambino.
MARIOTTO DI NARDO
(Firenze 1394 – 1424)
Madonna col Bambino
primo ventennio del XV secolo
tempera su tavola
L’opera di Mariotto di Nardo ha un grande valore affettivo. Si tratta infatti del primo acquisto che la Cassa di Risparmio fece nel 1924 per dar inizio alla propria collezione.
La tavola, nelle sue modeste dimensioni, era certamente destinata a qualche altare di devozione privata. Mariotto fu uno degli ultimi interpreti del clima Tardogotico fiorentino. Nella pala riecheggia, però, un ragionamento sulle novità prospettiche che al tempo stavano rivoluzionando il panorama fiorentino dell’arte.
MARIOTTO DI NARDO
(Firenze 1394 – 1424)
Madonna in trono col Bambino e santi
primo ventennio del XV secolo
sinopia su cemento
Attivo nel pieno della rivoluzione artistica del Rinascimento, Mariotto di Nardo rimase legato a caratteristiche giottesche e Tardogotiche, riscuotendo comunque notevole successo nel saper interpretare il gusto di chi non si riconosceva nei possenti corpi di Masaccio. La sinopia ci permette inoltre di vedere la fase preparatoria dell’affresco, cioè il disegno di base sui cui partiva la divisione delle giornate lavorative. L’opera, in comodato d’uso presso la sede della Fondazione, è di proprietà dell’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze.
FRANCESCO BOTTICINI
(Firenze 1446 – 1498)
Madonna in adorazione del Bambino
seconda metà del XV secolo
tempera su tavola
La forma circolare della tavola rimanda alla tradizione fiorentina del “desco da parto”, un vassoio circolare che veniva donato alle donne partorienti. Dall’antica usanza del vassoio si diffuse l’uso di un decoro pittorico per adornare le camere da letto, immancabile elemento nelle case fiorentine, dono benaugurante tipico in occasione di matrimoni e nuove nascite. I temi solitamente erano legati alla maternità e alla famiglia. Nel tondo di Botticini, infatti, la Madonna adora il piccolo Bambino.
Cerchia di Domenico Bigordi detto IL GHIRLANDAIO
(Firenze 1449 – 1494)
San Sebastiano
fine del XV secolo
tempera su tavola
Ancora aperta è la discussione sulla paternità dell’opera, riconducibile sicuramente alla cerchia di Domenico del Ghirlandaio. Nella tavola, forse parte di una pala più ampia, san Sebastiano sopporta il martirio. I tratti della grande bottega del secondo Quattrocento si scorgono nel sapiente uso del chiaroscuro, nell’equilibrio della posa e nella delicatezza del panneggio nel perizoma. Il corpo virile, modellato saggiamente dalla luce, è trafitto da numerose frecce, mentre il volto del santo è leggermente crucciato in un gioco di luce e ombra forse non pienamente riuscito.
FILIPPINO LIPPI
(Prato 1457 circa – Firenze 1504)
Madonna col Bambino e angeli
1485-1486
tempera su tavola
L’opera è il “tondo” di più grandi dimensioni della pittura fiorentina rinascimentale. Proviene dalla collezione della famiglia Corsini, ma un filone della critica pensa che la destinazione originale fosse stata la villa di Careggi, di proprietà dei Medici. Sicuramente l’opera è una delle maggiori espressioni del pennello del giovanissimo Filippino Lippi. Figlio del pittore Fra Filippo Lippi, alla morte del padre Filippino fu sotto l’ala protettiva di Sandro Botticelli, al quale fu legato da profonda amicizia, oltre che da un discepolato. La grazia di Botticelli si riflette nel tratto del disegno e nei volti delle figure, soprattutto quelli degli angeli. La bellezza e unicità dell’opera è data anche dal gruppo di angeli che sulla destra, ai piedi del bambino, cantano una canzone scritta su un cartiglio. Il canto per tenore e contralto è stato individuato in un testo del tempo dal titolo Fortuna Desperata.
MAESTRO DEL FIGLIOL PRODIGO
(Anversa, attivo nella metà del XVI secolo)
Pietà
metà del XVI secolo
tempera su tavola
Il trittico centinato presenta una decorazione pittorica nella sua parte interna ed esterna. Chiuso, mostra due figure monocrome, i profeti David e Saul; aperto, invece, espone un’accorata Pietà.
La Madonna e san Giovanni mostrano il corpo del Cristo morto prima di deporlo nel sepolcro. Il busto modellato da un delicato chiaroscuro porta i segni della passione che però non intaccano la morbidezza dei muscoli e dell’incarnato.
I colori, la luce e il velo della Madonna rivelano l’origine nordica di questo artista non ancora identificato.
ANDREA DELLA ROBBIA
(Firenze 1435 – 1528)
Cristo in pietà
1495 circa
terracotta invetriata
La bellissima Immago Pietatis proviene dall’ingresso del Monte di Pietà, istituito dai frati francescani di fianco alla chiesa di Santo Spirito nella seconda metà del XV secolo. Il bianco della figura di Cristo si staglia deciso sull’azzurro dello sfondo della lunetta. Il corpo candido è modellato con precisione anatomica. Il costato ferito e i buchi nei palmi delle mani mostrano i segni della Passione compiuta. Tra i capelli ondulati e la barba leggeri filamenti dorati donano ancora più luminosità alla terracotta invetriata. La lunetta presenta un’immagine consolidata nella produzione di Luca della Robbia che in questo periodo aveva già avviato la sua bottega seriale.
Pietro Vannucci detto IL PERUGINO
(Città della Pieve 1450 circa – Fontignano 1523)
Compianto sul Cristo morto
1497 circa
affresco staccato
L’affresco proveniva dall’ingresso del sacello della famiglia Albizi adiacente alla chiesa di San Pier Maggiore. La cappella privata aveva un ingresso autonomo ed era dedicata al Santo Sepolcro, da cui il tema scelto per il decoro esterno che gli Albizi commissionarono a Pietro Vannucci detto il Perugino. La Madonna ha il volto rigato da grandi lacrime, testimoniando il patetismo tipico della pittura del Perugino. Proprio la capacità di muovere gli animi aveva reso il pittore umbro così amato a Firenze nel periodo in cui predicava il frate Girolamo Savonarola. L’opera è approdata nella collezione della Banca CR Firenze prima e della Fondazione poi, dopo un’asta tenutasi a Londra nel 1990.
GIORGIO VASARI
(Arezzo 1511 – Firenze 1574)
San Donato, San Domenico
1563-1564
olio su tavola
Le due tavole facevano parte di un trittico al cui centro si trovava un’Annunciazione, oggi conservata al Museo del Louvre. L’opera proviene dal monastero domenicano di Santa Maria Novella ad Arezzo, andato perduto. Giorgio Vasari realizza la pala per un committente d’onore: monna Cosina Vasari. La moglie dell’artista aveva chiesto all’ormai famoso marito un’opera da poter donare alle monache domenicane delle quali era spesso ospite. Vasari aveva realizzato dunque un trittico con al centro l’Annunciazione, memoria del “si” pronunciato anche delle suore durante la cerimonia dei voti, e due santi: Domenico, fondatore dell’ordine, e Donato, patrono di Arezzo.
GIORGIO VASARI
(Arezzo 1511 – Firenze 1574)
La Grazia o Lume Divino; La Fortuna; La Virtù o Premio; L’Onore o Marte
1569-1572
olio su tela
I quattro esagoni provengono dall’Ospedale Serristori di Figline Valdarno. Il profondo scorcio delle figure ha fatto ipotizzare che le opere facessero parte del decoro di un soffitto. Alcuni ipotizzano che gli esagoni provenissero dalla casa che il Granduca Cosimo I donò a Vasari in Borgo santa Croce a Firenze. Purtroppo la mancanza delle altre parti dell’ipotetico soffitto non permette di ricostruire il legame tra le allegorie e neanche di identificare con chiarezza le figure. L’unica riconosciuta è la Fortuna, presente anche negli affreschi della sala degli Elementi a Palazzo Vecchio. Gli attributi dell’allegoria risultano poi di notevole chiarezza: il petto nudo in segno di offerta, la tavola vuota su cui sta per scrivere il destino, la ruota a cui è appoggiata e il ciuffo mosso dal vento, perché la Fortuna va “a-ciuffata”.
Attribuito a CHERUBINO E GIOVANNI ALBERTI DA SANSEPOLCRO (Sansepolcro 1553 – Roma 1615 / Sansepolcro 1558 – Roma 1601)
Cristo flagellato
ultimo quarto del XVI secolo
affresco staccato
L’imponente opera è un affresco staccato proveniente dal Monte di Pietà di San Sepolcro. I fratelli Alberti lavorarono al Monte verso la fine del XVI secolo. La maestosa figura di Cristo è protagonista della composizione, incorniciata da un’architettura essenziale. Attaccato a una colonna spezzata, Gesù sta per essere percosso con le verghe poste ai suoi piedi. Nell’attesa del supplizio, come un agnello sacrificale, mostra il corpo possente, modellato dal chiaroscuro, che non accenna a nessun atto di ribellione, ma accetta il proprio destino.
MICHIEL WAUTERS
(? – Anversa 1679)
Venere appare a Enea come cacciatrice
XVII secolo
arazzo
L’arazzo appartiene a una serie con le storie di Enea e Didone disegnate da Francesco Romanelli, allievo di Pietro da Cortona, e tessute dall’arazziere Michiel Wauters di Anversa. Il ricamo delicatissimo di lana e seta appare oggi non nel pieno dei suoi colori, sbiaditi dal tempo. L’episodio narrato in questo arazzo presenta uno spiccato gusto per il movimento dei corpi e dei tessuti. Le figure di madre e figlio occupano l’intera composizione, incorniciati ed esaltati da uno sfondo campestre. Il decoro della cornice con telamoni e ghirlande riflette il gioco di finzione tipico del Barocco.
STEFANO DELLA BELLA
(Firenze 1610 – 1664)
Carosello notturno nel giardino di Boboli
1637
pietra di paragone dipinta
Nell’anfiteatro di Boboli, al chiarore delle torce, una grandiosa festa a cavallo conclude i festeggiamenti per le nozze di Ferdinando II con Vittoria della Rovere. Lo spettacolo, tratto dalla Gerusalemme liberata di Torquato Tasso, viene qui immortalato da Stefano della Bella. La pietra di paragone, singolare supporto del dipinto, rende l’atmosfera buia della notte e permette di dare ancora più luce ai colori ad olio che con leggeri tocchi danno forma al consesso. La prospettiva dall’anfiteatro di Boboli è coronata sullo sfondo dalle due ali di Palazzo Pitti, dove era allestito il palco reale.
VINCENZO MARIA CORONELLI
(Venezia 1650 – 1718)
Globo terrestre; Globo celeste
1692-1693
legno, carta e tempera
Vincenzo Maria Coronelli è stato un noto cartografo e cosmografo italiano di origine veneziana. A soli quindici anni vestì l’abito di novizio dei Frati Minori Conventuali, iniziando una carriera ecclesiastica di successo. Il suo nome è passato alla storia per la serie di globi terresti e celesti da lui realizzati, che divennero popolari in tutto il mondo, a partire dalle prime due sfere create per il re Luigi XIV nel 1683. Iniziò così una produzione quasi seriale, alla quale appartengono anche questi due globi. Su di un globo sono rappresentante le costellazioni, con le stelle e la forma che assumono e dalla quale prendono il nome; nel globo terreste sono raffigurate le terre e le acque, con indicati luoghi principali di battaglie navali o scontri storici.
GIOVANNI BATTISTA FOGGINI
(Firenze 1652 – 1725)
Dovizia
1721
pietra serena
Nel 1721 Giovan Battista Foggini, grande interprete del Barocco fiorentino, realizzò un’allegoria dell’Abbondanza, o Dovizia, da posizionare sulla colonna dell’odierna piazza della Repubblica. La scultura doveva sostituire un’opera di Donatello andata distrutta a causa delle intemperie negli anni Venti del Settecento.
Nel Novecento anche la statua del Foggini stava per subire la triste fine toccata alla scultura donatelliana. Pertanto nel 1956 la Sovrintendenza decise di sostituire l’originale con una copia in piazza ricoverando la Dovizia nei locali di via Bufalini, dove si trova ancora oggi.
L’opera, in comodato d’uso presso la Fondazione, è di proprietà della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Firenze e delle province di Pistoia e Prato.
IGNOTO
(secolo XVIII)
Ritratto di Anna Maria Luisa de’ Medici, Elettrice Palatina
post 1717
olio su tela
Anna Maria Luisa de Medici, ultima esponente della famiglia Granducale, è rappresentata qui vestita a lutto dopo la morte dell’amato marito, Johann Wilhelm von der Pfalz-Neuburg, Elettore Palatino del Reno, dal quale aveva ereditato il titolo di Elettrice Palatina. La donna poggia la mano su una corona, simbolo del suo rango, e rivolge all’osservatore uno sguardo benevolo, quasi a ricordare l’amore che ebbe per Firenze. Non potendo assumere il governo del Granducato, in quanto donna, stipulò il “Patto di Famiglia”, un contratto con la nuova famiglia regnante dei Lorena grazie al quale le collezioni medicee vennero vincolate alla città, evitandone così la dispersione.
Attribuito a MARCELLO BACCIARELLI
(Roma 1731 – Varsavia 1818)
Ritratto di Pietro Leopoldo d’Asburgo-Lorena
1760-1765
olio su tela
Il ritratto presenta un giovane Pietro Leopoldo in posa ufficiale, forse non ancora ventenne nel periodo precedente alla discesa del principe a Firenze. I riferimenti austriaci nella veste e nelle medaglie alludono, infatti, al suo primo periodo di permanenza a Vienna. Pietro Leopoldo ricevette il titolo di Granduca di Toscana solo nel 1765 e si interessò grandemente al proprio regno: trasferitosi a Firenze, dicono avesse persino imparato il “fiorentino”. Sicuramente passò alla storia per il suo temperamento illuminato e per le riforme che approvò, portando il Granducato a una nuova floridezza economica, sociale e culturale.
ANTON RAPHAEL MENGS
(Aussig 1728-Roma 1779)
Ritratto di George Clavering Nassau, lord Fordwich, terzo conte di Cowper
1770-1773
olio su tela
Lord Cowper è stato uno dei maggiori mecenati fiorentini della seconda metà del XVIII secolo. Di origine inglese, venne a Firenze con l’ambizione di diventarne ambasciatore britannico e vi rimase per oltre trent’anni. Nella tela viene ritratto appena trentaduenne dal pittore neoclassico Raphael Mengs. La posa, a mezzo busto e come affacciato da un balcone, richiama celebri ritratti di Raffaello, come quello dei coniugi Doni, del quale era estimatore e grande collezionista. Mengs propone qui un motivo tipico dei ritratti rinascimentali, immergendo il committente in quell’arte che tanto amava.
GIOVANNI DOMENICO FERRETTI (Firenze 1692 – 1768)
Arlecchini
1746-1749
olio su tela
Giovanni Domenico Ferretti, artista fiorentino attivo nel Settecento soprattutto come pittore di affreschi, dedica una serie di sedici tele alle Disavventure di Arlecchino e Pulcinella. Dipinte per Orazio Sansedoni, le opere tappezzavano un’intera stanza del suo palazzo denominata appunto “gabinetto degli Arlecchini”. Arlecchino è il personaggio principale della Commedia dell’Arte e in queste tele si propone in varie vesti: cuoco, medico, studioso o insegnate di danza. Solo o accompagnato dall’inseparabile Pulcinella, è protagonista di situazioni grottesche e comiche in piena regola con il teatro del tempo.

MANIFATTURA DI DOCCIA
Trionfo con tritoni, amorino e ramo di corallo
metà del XVIII secolo
corallo e porcellana dipinta
Su di un piccolo scoglio marino giocano, intorno a un grande ramo di corallo, due tritoni e un amorino. Sotto di loro lo stemma della casata granducale degli Asburgo-Lorena svela i destinatari dell’opera. L’oggetto è una squisita composizione della manifattura Ginori di Doccia, località in cui venivano prodotte le note porcellane. Oltre all’imponente ramo di corallo, che dona grande valore all’opera, sui lati dello scoglio piccole conchiglie incastonate e altri rami di porcellana rivelano il sottile gioco tra finzione e realtà tipico della cultura artistica di inizio Settecento.
Attribuito a Filippo Angeli detto FILIPPO NAPOLETANO
(Napoli o Roma 1587/1591 ca. – Roma 1629/1630 ca.)
Piazza di Mercato Vecchio a Firenze
primo trentennio XVII sec.
olio su tela
La veduta seicentesca presenta l’antico assetto del cosiddetto Mercato Vecchio, ubicato in quella che oggi si chiama piazza della Repubblica. Prima del grande stravolgimento di metà Ottocento che ha dotato l’area della veste attuale, il centro di via dei Calzaioli ospitava il mercato della carne e del pesce. Oltre agli edifici in cui si svolgeva il mercato, nella veduta sono riconoscibili a sinistra la Colonna dell’Abbondanza, ancora sormontata dalla scultura di Donatello, e sul fondo la Loggia del Pesce, realizzata su disegno del grande architetto Giorgio Vasari che durante i rifacimenti del centro storico venne smontata e rimontata in piazza dei Ciompi.
PANDOLFO RESCHI
(Danzica 1643 circa – Firenze 1696)
Veduta di Firenze con il fiume Arno alle Cascine
1675-1679
olio su tela
Pandolfo Reschi è stato un pittore olandese attivo soprattutto a Roma. La tela appartiene al suo periodo fiorentino e proviene dalla importante collezione della famiglia Gerini, mecenati e protettori del pittore. Reschi per la prima volta sperimenta una veduta sulla città, mostrandosi quale anticipatore del gusto che avrà così tanta fortuna nel secolo successivo. Il soggetto predominante è ancora la natura, con questo imponente scorcio sul parco delle Cascine, ma si inizia a insinuare sullo sfondo un desiderio di raccontare della città, con un profilo più che riconoscibile.
Pittore olandese, italianizzato Gaspare Vanvitelli e padre del più famoso Luigi, è considerato il fondatore del vedutismo. Le due tele sono considerate squisito esempio del nascente vedutismo e provengono dalla collezione della famiglia romana Colonna alla quale il pittore era profondamente legato. Vi erano esposte a pendant, una accanto o difronte l’altra, permettendo una visione a trecentosessanta gradi del paesaggio. La forma allungata, come a invitare lo sguardo ad allontanarsi sull’orizzonte, doveva dare l’idea di una finestra che si apriva sulla città. Furono dipinte da van Wittel durante il suo soggiorno fiorentino, quando fu ospite dalla famiglia Gerini che possedeva la tela di Pandolfo Reschi Veduta di Firenze con il fiume Arno dalle Cascine sempre nella collezione della Fondazione. In una delle due vedute propone lo stesso punto di vista dalle Cascine della tela del predecessore olandese (anche se lo scenario nel frattempo appare cambiato) come omaggio a chi aveva intuito la forza del paesaggio prima di lui.
Attribuito a GIUSEPPE ZOCCHI
(Firenze 1711 – 1767)
Veduta di Firenze con il fiume Arno alla pescaia di San Niccolò verso le molina di San Niccolò, 1744 circa, olio su tela
La veduta di Giuseppe Zocchi mostra uno scorcio sull’Arno ormai perduto. Siamo all’altezza della Pescaia di San Niccolò, riconoscibile dall’omonima torre al tempo ancora inglobata dal complesso sistema murario. Le mura definivano imponenti il profilo di questo lato del fiume, scorrendo fino al Ponte alle Grazie, scandite da possenti bastioni. In primo piano sono due barche, con il grande timone esterno, utilizzate per raccogliere le impurità dal fondo del fiume da operai chiamati “renaioli”. Accanto due pescatori attendono che qualche pesce entri nella rete che hanno teso.
Attribuito a GIUSEPPE ZOCCHI
(Firenze 1711 – 1767)
Veduta di Firenze con il fiume Arno alla pescaia di San Niccolò verso la Zecca Vecchia, 1744 circa, olio su tela
Giuseppe Zocchi si era formato a Venezia presso i migliori vedutisti del Settecento, stipendiato dai Marchesi Gerini. Tornato a Firenze mostrò tutta l’arte appresa con una serie minuziosa di vedute, principalmente dell’Arno, come voleva la recente tradizione. In questa tela il pittore posiziona l’osservatore sul fiume stesso, tra i due argini di San Niccolò e della Zecca Vecchia. I due edifici sono fuori dalla linea dell’orizzonte, rappresentano il punto di vista e sulla tela si dispiega il profilo di Firenze, con i suoi edifici maggiori ben riconoscibili: il duomo, il tiratoio e la torre di Arnolfo.
Attribuito a GIUSEPPE ZOCCHI
(Firenze 1711 – 1767)
Piazza San Firenze
1744 circa
olio su tela
Grande interprete delle vedute che avevano principalmente per protagonista l’Arno, con questa tela l’artista ci regala una vista interna della città: piazza San Firenze. Ad incorniciare il selciato in cotto, oggi andato perduto, il fortino del Bargello e la facciata della Badia orientano anche l’osservatore contemporaneo. Vari personaggi, le “macchiette”, popolano la piazza mostrando uno scorcio di vita settecentesca e donando un tocco di naturalismo alla veduta. All’angolo del Bargello, allora ancora usato come carcere, un gruppo di curiosi assiste alla sospensione alla fune di un condannato all’impiccagione.
THOMAS PATCH
(Exter 1725 – Firenze 1782)
Veduta di Firenze con il fiume Arno agli Uffizi durante il Carnevale
1760
olio su tela
Patch è stato un magistrale interprete delle visite sull’Arno, guadagnandosi l’appellativo di bridge–painter. In questa tela, sebbene il protagonista indiscusso sia sempre l’Arno, l’agire delle macchiette sulle rive non è solo di comparsa. Sotto la loggia degli Uffizi una statua viene trasportata durante una processione sacra e in primo piano, su di un imbarcadero d’invenzione all’altezza di Santa Maria Soprarno, sfilano le più iconiche maschere del Carnevale fiorentino. Nella tela l’artista presenta un insieme unico delle maggiori manifestazioni folcloristiche che rimanevano impresse nella memoria dei viaggiatori del Gran Tour.
THOMAS PATCH
(Exter 1725 – Firenze 1782)
Veduta di Firenze da Bellosguardo
1767
olio su tela
Thomas Patch faceva parte della vivace colonia inglese stabilitasi a Firenze nella seconda metà del Settecento. Da straniero intercetta fin da subito i gusti e i desideri dei protagonisti del Grand Tour specializzandosi nelle cosiddette “vedute da cartolina”. Questa in special modo sembra frutto di una richiesta precisa, da parte di un committente che forse non voleva la vista d’Arno più consueta, ma una visione d’insieme della città visitata.
La Firenze proposta qui da Patch è la “culla del Rinascimento”, accolta tra le sue colline con gli edifici che la identificano ben riconoscibili.
THOMAS PATCH
(Exter 1725 – Firenze 1782)
Veduta di Firenze con il fiume Arno al ponte Santa Trinita
1769
olio su tela
L’opera, realizzata dal pennello dell’artista inglese Thomas Patch, rientra nel gusto delle cosiddette “vedute da cartolina”. Nel XVIII secolo Firenze diventa meta imprescindibile del viaggio di istruzione di artisti e giovani aristocratici: il noto Grand Tour. Nel momento del commiato dalla città i giovani nobili erano soliti portar via delle vedute, come delle cartoline ante litteram, che ricordassero l’esperienza vissuta. Patch, trasferitosi a Firenze, si dimostrò uno dei maggiori interpreti dei desideri e dei gusti dei viaggiatori. Questa veduta in particolare coglie uno dei soggetti più richiesti e di conseguenza più replicati.
C.N. FACHOT
(notizie 1798-1809)
Firenze dal Giardino di Boboli
1809
acquerello e biacca su carta
La veduta ottocentesca mostra i terrazzamenti della fontana del Nettuno nel giardino di Boboli. In primo piano due giovanotti intrattengono una signorina benvestita. Sulla sinistra un pastore veglia sulle pecore, mentre altri gruppi di donne passeggiano verso la cima della collina. Palazzo Pitti campeggia sullo sfondo. L’artista che ha formato l’opera faceva parte del battaglione francese stanziato a Firenze durante il periodo napoleonico. Gli studi sul dipinto e sul suo autore sono ancora in corso.
THOMAS HARTLEY CROMEK
(Londra 1809 – Wakefield 1873)
Veduta di Firenze
1837
tempera su cartoncino
L’artista inglese Thomas Hartley Cromek è stato uno dei più importanti acquerellisti dell’epoca vittoriana. L’opera appartiene al periodo di residenza in Italia, dove l’artista ebbe numerosi mecenati.
Questa veduta di Firenze rientra nel gusto tipico del periodo. I cipressi sulla sinistra fanno da quinta scenica alla città come “culla del Rinascimento” che si mostra con tutti i suoi magnifici edifici, adagiata tra le colline che la circondano.
Giovanni Signorini, padre del più famoso Telemaco appartenente al gruppo dei Macchiaioli, fu uno dei maggiori vedutisti fiorentini della metà dell’Ottocento. Queste due vedute sembrano quasi pensate a pendant, con l’intento di far sentire l’osservatore su Ponte Vecchio. In una veduta, infatti, ci si affaccia sul lato ovest dell’Arno che si apre sulla collina di San Miniato al Monte. Proprio sotto la Loggia degli Uffizi, all’altezza dell’attuale circolo dei Canottieri, l’argine, più disteso di oggi, brulica di donne intente nel lavare il bucato. Nella seconda tela invece l’Arno scorre verso est, verso la Pescaia di Santa Rosa fuori orizzonte, e si assiste al silenzioso lavoro dei pescatori.
Le due tele del Signorini mostrano una variante significativa della pittura di veduta nell’Ottocento. Le opere diventano di dimensioni minori, si riempiono di personaggi, le “macchiette”, e mostrano una “fotografia” della reale vita della città. I paesaggi non decorano più suntuose quadrerie aristocratiche, ma le più misurate case dei borghesi che cercano di nobilitare le loro dimore con un gusto naturalistico.
CARLO CANELLA
(Verona 1800 – Milano 1879)
Veduta di piazza della Signoria dalla Loggia dei Lanzi, 1847
olio su tela
Carlo Canella, pittore veronese, soggiornò spesso a Firenze con il fratello Giuseppe. La tela presenta un punto di vista unico e originale su piazza della Signoria. Dall’interno della Loggia dei Lanzi con una pittura pulita e brillante, Canella permette ancora oggi di spiare la vita mondana della Firenze di metà Ottocento.
La veduta è impostata secondo nitidi modi prospettici in cui l’autore allinea architetture e personaggi facendo sentire l’osservatore accolto in un’atmosfera tardo romantica.
IGNOTO
(secolo XIX)
Veduta di piazza della Signoria a Firenze
metà del XIX secolo
olio su compensato
La veduta presenta una familiare vista su piazza della Signoria. La resa nitida della composizione prospettica svela quasi i passaggi costruttivi del pittore. La piazza brulica di personaggi: in alcuni crocchi svettano le tube borghesi ottocentesche, un mercante di stoffe colorate attrae l’attenzione di curiose signore. Le statue marmoree vegliano sul passaggio del tempo e della storia. La luce calda del pomeriggio preannuncia l’arrivo del tramonto e immerge morbidamente la composizione di un caldo chiarore.
IGNOTO
(XIX secolo)
Veduta di piazza della Signoria a Firenze
ante 1866
olio su tela
La tela raffigura un soggetto caro alle vedute fiorentine ottocentesche: piazza della Signoria. La datazione dell’opera è stata possibile grazie alla presenza dello stemma sabaudo che nel 1861 aveva sostituito quello lorenese sulla facciata del Palazzo del Comune. La pittura chiara e pulita definisce i dettagli con un’attenzione quasi fotografica. Le ombre dei palazzi si stendono sapientemente sul selciato grigio donando ancora più vigore ai personaggi disposti in modo ordinato, quasi teatrale, nel grande spiazzo.
GIUSEPPE MORICCI
(Firenze 1806 -1879)
Piazza di Mercato Vecchio
1860 circa
matita e olio su tela
La tela fa parte di una serie di vedute che presentano lo stesso punto di vista nel cuore dell’antico Mercato Vecchio. La colonna dell’Abbondanza orienta lo sguardo tra i banchi, le tettoie e il profilo disordinato dell’antico ghetto. Non è ancora chiara la natura dell’opera. Potrebbe trattarsi di un disegno preparatorio, il cui originale, di dimensioni leggermene maggiori, sarebbe stato esposto alla Promotrice del 1862 e successivamente acquistato dalla Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti. Oppure l’opera potrebbe essere la tela non finita di un soggetto di cui il Moricci aveva eseguito varie versioni dopo il primo successo.
EDWARD AUGUSTUS GIFFORD
(Londra 1819 – Oamaru 1894)
Firenze dal Monte alle Croci
1866
acquerello su carta
L’Arno attraversa silenzioso la città che si mostra immersa come in una leggera nebbia.
L’opera presenta le caratteristiche più classiche della pittura di paesaggio. Le macchiette in primo piano si muovono nello spazio creando un clima dal sapore folcloristico.
Poco si conosce dell’opera e dell’autore, il cui lavoro manca ancora di una letteratura storica e critica.
LORENZO GELATI
(Firenze 1824 – 1899)
L’Arno alla pescaia di San Niccolò al tramonto
1860
olio su tela
La barca scivola leggera sull’Arno reso con una pennellata fluida e dolce. Nell’acqua ondulata si riflettono le nubi che il tramonto inizia a tingere di rosso. Firenze appare ormai sullo sfondo, la natura occupa il primo piano. I ciuffi degli alberi sono resi con tocco veloce e vibrante, quasi a volerci far ascoltare il fruscio delle foglie. Lorenzo Gelati è stato un grande interprete del Romanticismo fiorentino. Nella barca e il barcaiolo però l’artista cambia pittura e accosta colori puri, stendendoli in modo piatto e compatto, quasi un annuncio della nuova pittura di macchia.
LORENZO GELATI
(Firenze 1824 – 1895)
L’Arno a San Niccolò con il bagno delle donne e panni stesi al sole, seconda metà XIX secolo
olio su tela
La tela presenta un singolare scorcio di vita fiorentina. Sull’arenile nella zona di San Niccolò i panni stesi nascondono come un paravento la sponda del fiume dedicata alle donne. Non è dato vedere il loro bagno, siamo sulla riva opposta e scorgiamo solo una coppia di ragazzi, un renaiolo e un canottiere.
Lorenzo Gelati svela nella tela la sua simpatia per le istanze dei pittori macchiaioli. I tocchi di colore compatti, l’uso del bianco puro e l’accostamento sapiente di colori primari rivelano la poesia dell’arte della macchia, ormai affermata nel panorama culturale fiorentino.

FABIO BORBOTTONI
(Firenze 1823 – 1901)
Vedute di Firenze antica
seconda metà del XIX secolo
olio su tela
La collezione si compone di centoventiquattro dipinti realizzati da Fabio Borbottoni in più periodi, a partire dalla metà circa dell’Ottocento, che documentano Firenze come appariva prima delle trasformazioni urbanistiche che ne avrebbero mutato irreversibilmente il cuore antico nonché i principali snodi viari. Le mura e le porte della città, l’antico quartiere del ghetto attorno a quella che oggi è Piazza della Repubblica, i ponti cittadini che attraversano il fiume Arno sono alcuni degli elementi identificativi illustrati dal Borbottoni e pertinenti ad un assetto urbano consolidato nei secoli attraverso successive stratificazioni, poi sensibilmente modificato alla luce delle nuove esigenze imposte dall’evoluzione dei tempi e dagli eventi legati al trasferimento a Firenze della capitale d’Italia nel 1865.
LLEWELYN LLOYD
(Livorno 1879 – Firenze 1939)
Veduta di Firenze da Montughi
1906
olio su tela
Acquistata nel 2011, l’opera è una delicatissima veduta di un interprete del divisionismo toscano. Il pennello di Llewelyn Lloyd si tinge di luce nei tocchi rossastri con cui riesce a rendere il calore del tramonto, giocando sul contrasto tra l’ombra del muro in primo piano e il caldo della luce del cielo. Ugo Ojetti, vedendolo esposto alla seconda Quadriennale torinese, definiva il quadro “delicato e poetico nel rendere la diffusa e mite luce delle colline toscane”.
GIOTTO SACCHETTI
(Roma 1887 – Montevettolini 1950)
Firenze da Costa San Giorgio
1942
olio su tavola
La pittura compatta degli edifici si infrange nel movimento delle fronde in primo piano. Giotto Sacchetti ha sempre vissuto il “culto per i maestri Macchiaioli” che traspare anche in questa tavola dell’artista ormai maturo.
La pittura costruisce solidamente Palazzo Vecchio, il Duomo e la loggia degli Uffizi; anche il cielo e le nubi sembrano fermarsi nei pastosi tocchi di colore.
Giovanni Costa detto NINO
(Roma 1826 – Marina di Pisa 1903)
Anzio
metà del XIX secolo
olio su tela
Il mare di Anzio si confonde con il cielo al fondo di questa ampia veduta di un giovane Giovanni Costa. Probabilmente il quadro appartiene al periodo di formazione dell’artista romano che non sembra aver ancora incontrato i Macchiaioli fiorentini. L’influenza della pittura di paesaggio della “Scuola di Posillipo”, in questi anni guidata da Giacinto Gigante, è infatti ancora forte. La veduta ampia porta lo sguardo a perdersi sull’orizzonte come volevano le regole classiche del paesaggismo. Gli accostamenti cromatici sono giocati su leggere variazioni di timbri, i colori della terra dominano per perdersi nel verde-blu del mare.
PIETRO SENNO
(Portoferraio 1831 – Pisa 1904)
Pastura in montagna
1860 circa
olio su tela
L’opera di un giovane Pietro Senno presenta un paesaggio montano secondo i più classici canoni della veduta campestre di fine Ottocento. La vegetazione e le rocce sono rese con precisione ottica, caratteristica dal vedutismo analitico di derivazione nordica a cui guarda in questo periodo l’artista. La figura del pastore è immersa nei colori della montagna e solo il fazzoletto rosso e la bisaccia azzurra lo staccano dall’armonia di toni del marrone. La luce calda avvolge il lieve pendio e dona un trasmutare di colori tipico del vedutismo toscano.
GIACINTO GIGANTE
(Napoli 1806 – 1876)
Convento ad Amalfi
terzo quarto XIX sec.
olio su tela
Giacinto Gigante è stato uno dei massimi esponenti della seconda generazione di artisti della “Scuola di Posillipo”, che, nel panorama del vedutismo italiano, corrisponde a una visione libera e autentica di pittura dal vero. In quest’opera Gigante ci offre un intimo scorcio del convento dei Cappuccini ad Amalfi. Nella roccia calcarea della costiera si apre un sentiero che porta alle case bianche del piccolo villaggio. Nel silenzio dell’ora calda, sotto il pergolato, solo un cappuccino si muove sulla scena.
PIETRO SENNO
(Portoferraio 1831 – Pisa 1904)
Toscani a Curtatone (Campagna del 1848, veduta presa sul ponte dell’Osone), 1861
olio su tela
Pietro Senno, in questa grande tela, racconta un’eroica battaglia della prima Guerra d’Indipendenza: lo scontro di Curtatone, che vide impegnato un vasto contingente di soldati toscani, tra i quali ero lo stesso pittore, guidato dal comandante De Laugeir, destinatario dell’opera.
La luce avvolge la composizione in modo omogeneo e l’equilibrio cromatico è dato dall’accostamento sulla tela di colori puri, senza gradazioni di tono. Sebbene Pietro Senno non abbia mai ammesso apertamente di aderire al movimento dei Macchiaioli, nel quadro troviamo un’attestazione dell’adozione della tecnica della macchia.
ODOARDO BORRANI
(Pisa 1833 – Firenze 1905)
Il richiamo del contingente
1869
olio su tela
Odoardo Borrani ha fatto parte della prima generazione dei pittori Macchiaioli. In piena sintonia con la poetica di quel gruppo di artisti, dedica la grande tela a un momento della storia contemporanea umile ed eroico al tempo stesso: il commiato di un soldato dalla sua famiglia. La scena è ambientata nella campagna toscana, tutti i componenti della famiglia si riuniscono attorno al giovane uomo in partenza per servire il Paese. I piedi scalzi dei ragazzi in primo piano rivelano l’origine umile del consesso. Nello sguardo amoroso tra il soldato e la moglie in lacrime però non vi è nulla di meno epico del saluto di Ettore e Andromaca.
LUIGI BECHI
(Firenze 1830 – 1919)
La raccolta delle olive
1875 circa
olio su tela
Una giovane contadina in punta di piedi raccoglie le olive da un alto ramo mentre un bambino, forse il fratello minore, prede quelle cadute in terra. La luce illumina i corpi dei due ragazzi modellandoli con delicatezza.
Le pieghe del vestito mosso dai gesti della ragazza sono scolpite dal chiaroscuro, mentre il suo fazzoletto rosso, oltre a introdurre una forte nota cromatica, ricorda il passato da fervente garibaldino del pittore.
FRANCESCO GIOLI
(San Frediano a Settimo, Pisa 1846 – Firenze 1922)
Primavera, 1879
olio su tela
Francesco Gioli subisce il fascino di Giovanni Fattori e Telemaco Signorini e prende parte al gruppo dei Macchiaioli. Il viaggio a Parigi che il giovane farà con il maestro Fattori nel 1875 ne rappresenta la vera svolta di stile. L’opera, dipinta dopo questo viaggio, presenta uno spiccato richiamo alle novità dell’arte francese: la pittura stesa con tocchi veloci nella resa dei fiori e dell’erba, i campi di fondo solo accennati. Le giovani ragazze chiacchierano perse in storie e pettegolezzi curandosi poco del loro gregge in una pausa ricreativa in cui la stessa natura sembra accoglierle.
FRANCESCO GIOLI
(San Frediano a Settimo, Pisa 1846 – Firenze 1922)
Acquaiola, 1891
olio su tela
L’opera è stata donata alla collezione dalla sua ultima proprietaria, Nina Benini. La signora scrisse una lettera all’allora presidente che esprime sia l’amore per questo capolavoro del pennello di Francesco Gioli, sia la consapevolezza che il quadro da quel momento sarebbe diventato per tutti. “Questa donna così bella incede in un campo di Fauglia verso le montagne pisane, oltre le quali si vede un cielo limpido e chiaro che fa sì che, dove si attacca quel quadro, sembra di aver aperto una finestra. Dopo tanti anni la mia amica di Fauglia se ne andrà con tanto rimpianto, ma so che l’affido a mani sicure che la custodiranno forse meglio di me, certamente meglio dopo di me”.
EUGENIO CECCONI
(Livorno 1842 – Firenze 1903)
La lacciaia
1879
olio su tela
Nell’opera di Cecconi possiamo immergerci nel più autentico paesaggio della Maremma toscana. Sulle rive dell’Ombrone un buttero lancia il suo lazzo per riprendere un vitello che si è allontanato dalla mandria. Sotto i rami spogli di un albero alcuni aristocratici, forse i membri della famiglia della Gherardesca, committenti dell’opera, osservano l’azione. Cecconi imprigiona i colori, la luce, ma anche quasi i rumori e gli odori del paesaggio maremmano a lui caro fin dalla più tenera età. La pittura grassa è stesa a larghe campiture, i toni caldi dell’autunno avvolgono la scattante corsa del buttero e del vitello, come in una danza campestre.
GIOVANNI FATTORI
(Livorno 1825 – Firenze 1908)
Buoi al pascolo
1886
olio su tela
L’opera del grande maestro della pittura Macchiaiola presenta un tema caro agli artisti di quel gruppo: nei pressi di un fiume tre buoi pascolano sotto il vigile occhio di un buttero stanco, seduto su di un tronco. La pittura risulta però non corrispondere più alla prima stagione della Macchia, propendendo per una stesura rapida e vibrante.
Secondo alcuni si tratterebbe di un bozzetto non terminato, mentre altri vedono nella condotta pittorica a tocchi veloci un avvicinamento alle tecniche degli Impressionisti francesi.
RUGGERO PANERAI
(Firenze 1862 – Parigi 1923)
Piazza San Gallo a Firenze
1883
olio su tela
Il giovane Panerai dedica questa grande tela alla nuova piazza che era sorta intorno alla porta San Gallo a seguito delle trasformazioni di Firenze condotte da Giuseppe Poggi, oggi Piazza della Libertà. In primo piano due oziose signore passeggiano ondeggiando con i loro ricchi vestiti. Alle loro spalle un gruppo di operai conversa dopo una giornata di lavoro. Sulla destra una bambina benvestita si riscalda con un manicotto bianco, guardata con invidia da una ragazzina che può scaldarsi solo con il misero grembiule. Nell’esaltazione dell’ammodernamento urbanistico di Firenze, Panerai ricorda le divisioni sociali che ancora affliggevano la società nel nuovo regno d’Italia.
RUGGERO PANERAI
(Firenze 1862 – Parigi 1923)
Il passaggio di un drappello di artiglieria da piazza San Gallo, 1885
olio su tela
Un drappello di soldati corre nella piazza da poco sorta intorno all’antica porta San Gallo a seguito degli ammodernamenti urbanistici di Giuseppe Poggi.
L’Arco di Trionfo dei Lorena, visibile sullo sfondo, orienta l’occhio dell’osservatore contemporaneo che vi riconosce quella che oggi è piazza della Libertà.
L’artista appartiene alla seconda generazione dei pittori Macchiaioli, che innestò sulla struttura pittorica “a macchie” il fascino per il movimento Impressionista, riconoscibile ad esempio nella condotta a filamenti del selciato, che rifrange la luce nel bagnato della pioggia appena passata.
RUGGERO PANERAI
(Firenze 1862 – Parigi 1923)
Ritorno dalla corse alle Cascine
1885
olio su tela
L’opera fa parte della serie di vedute fiorentine realizzate dal giovane artista in omaggio al nuovo aspetto, urbanistico e sociale, che la città aveva assunto dopo essere stata capitale del regno d’Italia.
Si esaltano qui le nuove Cascine, trasformate in luogo di passeggio e pista per la corsa dei cani, senza rinunciare a un’analisi puntuale dell’ampio consesso raccolto sul viale. Nella donna in primo piano dall’elegante vestito nero, reso con un tocco veloce e deciso, echeggia la pittura parigina a cui guardano gli artisti fiorentini della seconda generazione Macchiaiola.
ADOLFO TOMMASI
(Livorno 1851 – Firenze 1933)
Idillio
1884
olio su tela
Adolfo Tommasi, cugino di Ludovico e Agnolo, si avvicina al gruppo dei Macchiaioli grazie al più anziano amico di famiglia Silvestro Lega. In questa tela la pittura “a macchia” della prima formazione si unisce a tocchi vibranti e veloci di eco impressionista.
L’incontro dei due amanti è immerso nei caldi colori della campagna; alla stesura piatta del crema della giacca del giovane si contrappone il bianco vibrante del vestito della ragazza.
La staccionata interrotta attraverso la quale si parlano i due giovani divide la scena, creando un’atmosfera graziosamente furtiva.
SILVESTRO LEGA
(Modigliana 1826 – Firenze 1895)
Il garofano rosso
1890 circa
olio su tela
Il bellissimo ritratto di giovane donna nasce dal vibrante pennello di uno dei più grandi interpreti della prima stagione Macchiaiola: Silvestro Lega. La tela appartiene al così detto “periodo del Gabbro”, località dove l’artista soggiornò frequentemente nella villa degli amici Bandini al Poggio Piano. Il quadro è interamente costruito sui caldi toni del giallo, passando dall’ocra della parete di fondo al crema del colletto della donna. I colori tenui, stesi con spatolate ampie sul fondo, a brevi e veloci per la donna, sono accesi dal rosso del fiocco e del garofano, vero protagonista della composizione.
ANGIOLO TOMMASI
(Livorno 1858 – Torre del Lago Puccini 1923)
Ultime vangate
1892
olio su tela
Il sole tramonta su di campo appena lavorato. In primo piano un gruppo di contadini esausti gira le ultime zolle. Tra di loro si staglia possente una donna che con forza spinge il piede sulla vanga per smuovere l’ultima parte di terra. Angiolo Tommasi, grande interprete della seconda stagione della Macchia, imprigiona nelle figure la dignità del lavoro. Tele di queste dimensioni erano solitamente dedicate agli episodi epici della letteratura, a grandi battaglie o temi biblici. Volutamente qui l’artista dona ampio spazio agli umili contadini e veste la donna centrale con un fazzoletto rosso di eco garibaldino.
LUIGI GIOLI
(San Frediano a Settimo, Pisa, 1854 – Firenze, 1947)
L’abbeverata
1896
olio su tela
L’opera di Luigi Gioli, appartenente alla seconda generazione di Macchiaioli toscani, mostra uno scorcio di Viale Spartaco Lavagnini a Firenze, un tempo chiamato Viale Regina Margherita in onore della regina d’Italia. Faceva parte dei nuovi grandi viali di passaggio, percorsi da carrozze e cavalli. In primo piano un uomo sta facendo bere i propri cavalli ad una fontanella mentre cerca di scaldarsi le mani. Le regole della pittura “di macchia” sono evidenti nella stesura piatta e omogenea con cui Gioli rende i cavalli e il loro proprietario. I colori puri accostati direttamente sulla tela illuminano la composizione in un’armonia studiatissima che restituisce il rigido clima invernale. Sul lastricato un tocco più veloce, che dona la sensazione del selciato bagnato, svela le novità della pittura impressionista che i giovani artisti portarono dai loro viaggi parigini.
NICCOLÒ CANNICCI
(Firenze 1846 – 1906)
Le gramignaie al fiume
1896
olio su tela
Niccolò Cannicci appartiene alla seconda generazione dei pittori cosiddetti Macchiaioli, artisti che fortemente subirono il fascino della pittura impressionista francese.
Nella pennellata che rende l’acqua increspata dal lavoro delle donne che raccolgono fasci di erbe fluviali si coglie, infatti, un’eco di quella poesia della luce che spopolava a Parigi negli ultimi decenni dell’Ottocento.
Il colore si spezza e vibra in tocchi veloci e luminosi soprattutto sullo sfondo del tramonto che scende sulla palude e sulle sue monumentali eroine.
ARDENGO SOFFICI
(Rignano sull’Arno 1879 – Forte dei Marmi 1964)
Campi d’autunno
1907
olio su cartone
L’opera è un regalo dell’artista Ardengo Soffici all’amico Giovanni Papini in occasione delle nozze con Giacinta Giovagnoli. La veduta sui campi d’autunno presenta una pittura piatta e a larghe campiture che avvolgono le colline con la malinconia dei colori autunnali. La conoscenza della pittura post impressionista e del conteso artistico di Parigi, da dove era da poco rientrato in Italia, definiscono le scelte artistiche di Soffici a questa data. Papini ringraziava del regalo l’amico pittore avvertendolo di aver messo il quadro sulla porta del suo studio “di faccia alla campagna”. Osservava poi come nell’opera ci fosse “già il principio e il segno” dell’arte di Soffici e leggeva il tralcio della vite come ben augurante per entrambi: “dai bei grappoli neri trarremo insieme il vino che darà al mondo la nuova ubriachezza”.
OSCAR GHIGLIA
(Livorno 1876 – Firenze 1945)
Natura morta
1918
olio su cartone
Il colore compatto dei petali rosati accoglie i boccioli rossi in un equilibrio naturale. Gli esili steli dei fiori si vestono con le ampie foglie aprendo a una dimensione quasi magica.
Sullo sfondo una cornice vuota sembra voler creare nuovi spazi e dimensioni, o forse solo svelare l’inganno della pittura.
Nella delicatissima natura morta Oscar Ghiglia dimostra l’eredità della pittura macchiaiola nell’equilibrio dei colori, aggiornata però alla luce dei volumi pieni di Paul Cézanne e delle esperienze artistiche francesi di inizio Novecento.
PRIMO CONTI
(Firenze 1900 – Fiesole 1988)
Natura morta
1914
olio su tela
La citazione del grande maestro francese Paul Cézanne è evidente nella tavola con le mele disposte in modo apparente casuale, mentre la bottiglia di vino e il calice sembrano svelare l’origine toscana del quattordicenne Primo Conti. L’enfant prodige mostra qui il prolifico e originale confrontarsi con le grandi novità artistiche del tempo. Lo sfondo della natura morta si tinge di toni accesi e il bianco della tovaglia non presenta la plasticità del maestro francese, ma una personale interpretazione della luce e del colore.
PRIMO CONTI
(Firenze 1900 – Fiesole 1988)
Ritratto di uomo con fiasco e bicchiere
1915
olio su tela
L’anziano sconosciuto scruta l’osservatore. La pittura compatta mostra un desiderio di solidità tipico dell’arte di Paul Cézanne, a cui il giovane artista guardava in quel momento con animo di discepolo.
Gli accostamenti di colori primari puri nella mano dell’uomo e nel fisco di vino spezzano la luce mostrandocene i riflessi nella più classica lezione della pittura post impressionista, che Conti ci propone con un tocco di aggressività tipica dei pittori Fauves.
PRIMO CONTI
(Firenze 1900 – Fiesole 1988)
Darsena a Viareggio
1915
olio su tela
Il quindicenne Primo Conti si misura con tematiche tipiche del rinnovamento artistico parigino. La tela mostra il rapporto artistico che il giovane Conti instaurò con le avanguardie del tempo, alla ricerca di un suo segno distintivo. I colori forti, stesi con campiture piatte e mano decisa, si impongono aggressivi come quelli che in quegli anni avevano mostrato nelle gallerie parigine i pittori Fauves. La Darsena di Viareggio è popolata da personaggi appena abbozzati che si muovono nella costruzione della nave resa con tocchi di colori graffianti.
LORENZO VIANI
(Viareggio 1882 – Lido di Ostia 1936)
Gli inglesi a Bagni di Lucca
1927-1928
tecnica mista su tavola
Gli inglesi protagonisti della tavola sono i personaggi che Lorenzo Viani incrociava per arrivare ai Bagni dove si sottoponeva a sedute curative per il suo asma. La maestria del pittore si rivela nei pochi elementi usati per realizzare l’opera: una leggera incisione a punta secca definisce i contorni, mentre i colori utilizzati sono della semplice china e la biacca. La tavola non preparata mostra le venature del legno che diventano parte della cromia. Il tratto secco della incisione conferisce un tono sagace alla composizione. Forse proprio l’essenzialità della tecnica e della tavolozza determina la profonda espressività alla tavola.
FELICE CASORATI
(Novara 1883 – Torino 1963)
La Vestale (Atto I)
1933
olio su tavola
Lo schizzo preparatorio è una delle testimonianze della collaborazione di Casorati con il Maggio Musicale Fiorentino. Il bozzetto appartiene alla serie di prove che il maestro presentò alla commissione artistica nella preparazione del melodramma La Vestale. Le architetture maestose resero però i bozzetti di difficile realizzazione.
Il debutto di Casorati sul palcoscenico portò a un grande lavoro di mediazione, dalle proposte del pittore alle possibilità concrete di risorse ed energie del teatro.
GIOVANNI COLACICCHI
(Anagni 1900 – Firenze 1992)
Allegoria della danza e della musica per un cinematografo
1948
encausto a freddo su faesite
L’opera proviene dagli arredi del distrutto Cinema Gambrinus in piazza della Repubblica a Firenze, dove era posizionata sulle casse in ingresso. A seguito del fallimento del cinema e del rilevamento dei locali, la Fondazione ha acquistato l’opera per ricordare un luogo iconico per i fiorentini e per salvare un’opera rilevante di un grande interprete del Novecento toscano. Nella raffigurazione un gruppo di figure nude danza al ritmo della musica di un flauto. La luce calda illumina le forme affusolate ed eteree dei danzatori proiettando le loro ombre su di un muro bianco, ricordo dell’avvento del cinema come nuova forma di intrattenimento.